Con la creazione dell'Iri, Mussolini rilevò le banche in bilico e riuscì a contenere gli effetti della crisi del '29
L’aveva già avuta settantasei anni fa un altro Cavaliere.
Si chiamava Benito Mussolini e non si può certo dire che fosse meno noto di Silvio. Il Cav. Benito aveva lasciato che a occuparsi della partita bancaria fosse una personalità straordinaria come Alberto Beneduce che, pur essendo l’uomo più potente del Regime dopo il Capo, non era nemmeno fascista (prenderà la tessera solo nel 1940).
Il suocero di Cuccia
Diciamo pure che la pensava proprio in un’altra maniera come dimostra il nome che aveva imposto alle tre figlie: Idea Nuova Socialista, Italia Libera e Vittoria Proletaria. Complicato pensare che uno così fosse un fascista. Ma in fondo anche il Cav. Benito, da giovane aveva inseguito il corso del “sol dell’avvenire”.
Aggiungiamo, tanto per completare il quadro che Idea Nuova Socialista sposò Enrico Cuccia, il più grande banchiere italiano del secolo scorso.
Un altro tipino che con l’ideologia del Duce non aveva molto da spartire. Tutt’altro (...).
Il progetto di Beneduce non ebbe eguali in tutto il mondo e per anni gli studiosi di tutte le università internazionali lo hanno studiato con ammirazione. Fece perno sulla nascita dell’Iri avvenuta il 23 gennaio 1933. Un idea molto semplice.
Allora come oggi l’infezione veniva dagli Stati Uniti (la Grande Depressione del ’29 al posto dei mutui subprime).
Allora come oggi i bilanci delle banche erano marci: oggi a causa dei titoli tossici. Allora per la proprietà azionaria di grandi complessi in crisi come Terni, Ansaldo, Cogne, Alfa Romeo, Sip.
Il Credito Italiano
L'intervento di Beneduce, come primo presidente dell'Iri, fu radicale.
Allora (e forse potrebbe accadere anche oggi) costrinse i banchieri che avevano determinato il disastro a farsi da parte.
Ebbe qualche problema con Giuseppe Toeplitz, potentissimo capo della Banca Commerciale Italiana che non aveva nessuna voglia di andare in pensione.
Anche gli azionisti tedeschi che alla fine dell'800 avevano fondato la banca, non erano soddisfatti all'idea di levarsi di torno senza portare a casa nulla.
Le cronache raccontano di confronti, per così dire, molto franchi fra Beneduce e il banchiere.
Toeplitz, comunque, alla fine va via sostituito da Raffaele Mattioli.
L'Iri rilevò la proprietà delle banche più intossicate. Vale a dire la stessa Banca Commerciale, il Credito Italiano e la banca di Roma.
Le ultime due rappresentano oggi il nocciolo duro di Unicredit. Come a dire la banca italiana che attualmente presenta i maggiori problemi di stabilità patrimoniale.
C'è forse una maledizione che volteggia sopra il palazzone di Piazza Cordusio sede dell'istituto?
Difficile crederlo. Ma certo il gioco di corsi e ricorsi della storia presenta aspetti inquietanti.
Beneduce fece quello che oggi propone Tremonti (e non solo lui).
Spezzatino bancario
Spezzò il patrimonio delle banche: da una parte gli sportelli e gli attivi patrimoniali. Dall'altra i titoli tossici rappresentati dalle partecipazioni industriali. Le raggruppò sotto il cappello delle finanziarie di settore: la Finsider che si occupava di siderurgia, la Finmare per le compagnie di navigazione e via elencando. Al vertice della costruzione c'era l'Iri che, in una mano teneva la proprietà delle tre banche e nell'altra le finanziarie sotto le quali aveva raccolto il controllo delle aziende in difficoltà.
Nel 1937, quando l'operazione di riordino venne conclusa, lo Stato, attraverso l'Iri gestiva l'80% del credito in Italia. (...).
Nino Sunseri
(tratto dal quotidiano Libero del 20/02/2009)
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