
Ovviamente il Presidente della Camera si è dimostrato subito d'accordo: "Una proposta di buon senso, per nulla scandalosa", ha commentato Fini.
Fortunatamente tra gli ex appartenenti ad Alleanza Nazionale, non tutti sono sempre pronti ad imboccare imprescindibilmente la nuova strada buonista intrapresa del "capo".
Pubblichiamo sotto l'articolo dell'Assessore Regionale Istruzione e Lavoro Elena Donazzan, apparso ieri sul Giornale di Vicenza, che mostra in maniera chiara l'assurdità della proposta del viceministro Urso.
“Ci manca la concretezza”
In Italia c'è un problema di integrazione? A mio avviso sì. Vi è anche un' ulteriore questione, sul come affrontarlo fuori dagli schematismi ideologici, e non limitandosi alla semplice teoria. In questo contesto, la proposta emersa ad Asolo da parte della Fondazione Fare Futuro di Gianfranco Fini mi sembra più la teorizzazione del tema che non la sua pratica risoluzione: la proposta d'insegnamento della religione islamica appare come la valutazione di chi non vive la quotidiana e comune realtà, ma disserta nei salotti buoni ove, al più, di integrazione si parla leggendo trattati di sociologia o con riferimento alle pratiche di regolarizzazione della propria colf. Sfido i proponenti dell'evento di Asolo a dirci quando hanno percorso una tratta su un treno regionale nel tardo pomeriggio, o qual è l'ultima volta che si sono trovati in una stazione degli autobus di linea nella periferia di una delle nostre città, oppure quando hanno fatto la spesa ad un discount o hanno frequentato un pronto soccorso di uno dei nostri ospedali. Credo che solo con uno sforzo di fantasia potrebbero raccontarci di quale realtà si trovi oramai frequentemente nelle nostre piccole e grandi città, là dove interi quartieri sono ormai brulicanti di lingue ed etnie diverse, dove gli esercizi commerciali sono acquistati con denaro contante da cinesi organizzati; spesso chi parla di integrazione vive su un'auto blu, si muove con la scorta, frequenta locali esclusivi, salotti per bene, manda i propri figli nelle migliori scuole. Non è questa la realtà della nostra società oggi! Non è questo il rapporto reale con l'immigrazione avvertito o patito dalla nostra gente, dai cittadini comuni, dalle mamme preoccupate, dagli anziani sempre più fragili di fronte ad una società aggressiva e violenta. Certamente non si può fare una equazione sommaria tra immigrazione e problema della sicurezza, ma è pur vero che gran parte della immigrazione viene percepita come "pericolosa", e ciò sulla scorta di riscontri concreti e reali. Il primo attentato terroristico, auguriamoci l'ultimo, di matrice islamica avvenuto a Milano qualche giorno fa deve farci riflettere: si trattava di un immigrato regolare, la moglie non aveva percepito nulla di strano, insomma poteva sembrare un caso di integrazione, ma nei fatti si è dimostrato tutt'altro. Non solo non possiamo abbassare la guardia, dobbiamo semmai alzare le nostre difese perseguendo una vera integrazione che è fatta di controlli, di accettazione e di comprensione, attuando un sistema per cui chiunque voglia venire nella nostra terra si conformi al rispetto regole, usi e costumi.
L'integrazione passa necessariamente attraverso un percorso di conoscenza e accettazione culturale che parte dalla scuola innanzitutto; per questo dissento totalmente dalla proposta di insegnare la religione islamica nelle scuole italiane.
L'ho trovata priva di senso innanzitutto perché denota una profonda ignoranza di quanto avviene nelle nostre scuole, dove l'insegnamento della religione non è certo catechesi cattolica, ma istruzione su principi e storia della religione cristiana, e dove è enorme la difficoltà educativa nei rapporti con lingue, etnie e culture diverse. Oggi è prioritario non limitarsi a parlare di integrazione, ma fare integrazione. Avviare processi di inserimento in un contesto fatto di tradizioni, di storia, di costumi, di abitudini consolidate, di leggi che derivano direttamente da quei principi, da quelle tradizioni che formano la nostra cultura, ma soprattutto il nostro vivere civile. Per questo la mia linea è diametralmente opposta a quella emersa ad Asolo: io ritengo che nelle nostre scuole vi sia la necessità di uno studio obbligatorio per tutti gli studenti della religione cristiana cattolica. Non sarà una posizione "illuminata" o gradita nei migliori salotti, ma ritengo sia la sola possibile per far capire chi siamo a chi viene a vivere in mezzo a noi. Come possiamo pensare che un bambino o un ragazzo che arrivi in Italia, non certo per propria volontà, possa capire e quindi amare la nostra terra e la nostra nazione se non gli diamo gli strumenti per poterlo fare? Altrimenti si sentirà sempre estraneo, straniero in una terra diversa dalla sua, ospite e non aderente ad una nuova Patria che è costruita su pilastri solidissimi il cui cemento è indiscutibilmente la religione cristiana. Quella cristianità europea delle cattedrali, delle biblioteche, dei monasteri, ma anche dei nomi propri, dei quartieri, delle feste popolari, della stessa cadenza della settimana lavorativa o delle feste di precetto. E'la cristianità che ha ispirato i principi dell'umanesimo del lavoro, della carta costituzionale, delle leggi di diritto positivo. Come potrà un ragazzo islamico integrarsi realmente se non spiegheremo a lui perché in Italia vi sia il rispetto tra persone come principio assoluto, o perché la famiglia sia composta da un uomo e una donna, o perché a scuola si resta a casa a Natale e a Pasqua oppure perché si festeggia il Santo Patrono. Come potrà leggere Dante o capire la storia medievale o la storia dell'arte senza conoscere la cristianità? Come potrà diventare cittadino italiano se nella scuola pubblica ( perché tutta la scuola è un servizio pubblico) si favorirà l'insegnamento di una religione che, ad esempio, non distingue tra potere spirituale e temporale?
Come potrà crescere cittadino italiano e rispettare le nostre regole di vita comunitaria e sociale, che è laica e non confessionale, se non comprenderà il percorso culturale che vede insieme credenti ed atei, laici e anche laicisti in una società che spesso ha mal interpretato il termine "tolleranza". Dissento anche da un'altra affermazione che ho sentito fare ad Asolo: si è detto "siamo una società multiculturale". Il fatto che oramai siamo una società multietnica è sotto gli occhi di tutti. Ma abbiamo ancora un condiviso modello di vita, dei principi comuni indiscussi ed indiscutibili quali il diritto alla vita, ad una vita dignitosa, alla dimensione spirituale dell'uomo, al rispetto dell'altro da sé, alla libertà di espressione, al diritto e dovere all'adesione ad una carta di regole scritte nelle quali si riconosce un popolo. La società multiculturale è, a mio avviso, la negazione di tale unitarietà, ed è un modello fortunatamente non attuale né auspicabile.
L'integrazione passa necessariamente attraverso un percorso di conoscenza e accettazione culturale che parte dalla scuola innanzitutto; per questo dissento totalmente dalla proposta di insegnare la religione islamica nelle scuole italiane.
L'ho trovata priva di senso innanzitutto perché denota una profonda ignoranza di quanto avviene nelle nostre scuole, dove l'insegnamento della religione non è certo catechesi cattolica, ma istruzione su principi e storia della religione cristiana, e dove è enorme la difficoltà educativa nei rapporti con lingue, etnie e culture diverse. Oggi è prioritario non limitarsi a parlare di integrazione, ma fare integrazione. Avviare processi di inserimento in un contesto fatto di tradizioni, di storia, di costumi, di abitudini consolidate, di leggi che derivano direttamente da quei principi, da quelle tradizioni che formano la nostra cultura, ma soprattutto il nostro vivere civile. Per questo la mia linea è diametralmente opposta a quella emersa ad Asolo: io ritengo che nelle nostre scuole vi sia la necessità di uno studio obbligatorio per tutti gli studenti della religione cristiana cattolica. Non sarà una posizione "illuminata" o gradita nei migliori salotti, ma ritengo sia la sola possibile per far capire chi siamo a chi viene a vivere in mezzo a noi. Come possiamo pensare che un bambino o un ragazzo che arrivi in Italia, non certo per propria volontà, possa capire e quindi amare la nostra terra e la nostra nazione se non gli diamo gli strumenti per poterlo fare? Altrimenti si sentirà sempre estraneo, straniero in una terra diversa dalla sua, ospite e non aderente ad una nuova Patria che è costruita su pilastri solidissimi il cui cemento è indiscutibilmente la religione cristiana. Quella cristianità europea delle cattedrali, delle biblioteche, dei monasteri, ma anche dei nomi propri, dei quartieri, delle feste popolari, della stessa cadenza della settimana lavorativa o delle feste di precetto. E'la cristianità che ha ispirato i principi dell'umanesimo del lavoro, della carta costituzionale, delle leggi di diritto positivo. Come potrà un ragazzo islamico integrarsi realmente se non spiegheremo a lui perché in Italia vi sia il rispetto tra persone come principio assoluto, o perché la famiglia sia composta da un uomo e una donna, o perché a scuola si resta a casa a Natale e a Pasqua oppure perché si festeggia il Santo Patrono. Come potrà leggere Dante o capire la storia medievale o la storia dell'arte senza conoscere la cristianità? Come potrà diventare cittadino italiano se nella scuola pubblica ( perché tutta la scuola è un servizio pubblico) si favorirà l'insegnamento di una religione che, ad esempio, non distingue tra potere spirituale e temporale?
Come potrà crescere cittadino italiano e rispettare le nostre regole di vita comunitaria e sociale, che è laica e non confessionale, se non comprenderà il percorso culturale che vede insieme credenti ed atei, laici e anche laicisti in una società che spesso ha mal interpretato il termine "tolleranza". Dissento anche da un'altra affermazione che ho sentito fare ad Asolo: si è detto "siamo una società multiculturale". Il fatto che oramai siamo una società multietnica è sotto gli occhi di tutti. Ma abbiamo ancora un condiviso modello di vita, dei principi comuni indiscussi ed indiscutibili quali il diritto alla vita, ad una vita dignitosa, alla dimensione spirituale dell'uomo, al rispetto dell'altro da sé, alla libertà di espressione, al diritto e dovere all'adesione ad una carta di regole scritte nelle quali si riconosce un popolo. La società multiculturale è, a mio avviso, la negazione di tale unitarietà, ed è un modello fortunatamente non attuale né auspicabile.
Nessun commento:
Posta un commento